Il nostro viaggio

Latte e Montefiore. Questo è il mio primo ricordo in materia di cibo.

Ricordo le lotte, quasi da antichi romani, per iniziare il primo boccone e, quando andava a buon fine, il mio palato magicamente diventava quello di uno chef stellato.
Ricordo le sere in cui tornavo a bussare in cucina, dopo aver rifiutato la cena, in cerca di quel biberon pieno di latte e biscotti.
Ricordo tanti capelli riccioli che non avevano una forma definita e delle gambe così magre da somigliare a un uccellino.
Ricordo che quella piccola amica a quattro zampe sotto al tavolo, in cerca di bocconi, era la mia fortezza sicura. Talmente tanto sicura che il nostro amore è diventato eterno.

All’improvviso ricordo il sapore intenso, rosso, acido e dolce di un pomodoro che esplode in bocca, dopo averlo colto dalla pianta di mio nonno.

Quella delicata bomba di vita che ti scoppia dentro ad ogni senso e ti lascia lì perfettamente inchiodata al terreno, con le mani macchiate di verde e dentro al cuore un sapore che, poi, non mi ha più lasciata.
Ricordo le mie mani in cerca di baccelli di piselli da sgranare, appena colti, quando ancora il sole che li ha scaldati non li ha lasciati.
Se chiudo gli occhi sento ancora quella dolcezza in grado di battere qualunque caramella.

Vedo un piatto di pasta rucola e pomodoro davanti all’ennesima fuga di Lupin la stessa che sarebbe toccata a me se mia madre fosse rientrata e mi avesse vista mangiare davanti alla televisioni. Ma, erano patti tra nonna e nipote chiusi così a fondo nell’anima che nessuna chiave sarà mai in grado di scardinare.

Ricordo l’odore di un panino al prosciutto cotto mangiato dondolandoci da un albero d’ulivo, l’odore di mio nonno quando rincasava tornando dall’orto, mia nonna nella sua mole statuaria intenta a provare nuovi sapori che potessero destare la mia curiosità o semplicemente la fame.
Allora, l’odore si fa prepotente, torna come un vecchio amico con gli ortaggi freschi e del cibo intento nella sua cottura.
Ricordo così tanto che gli anni sono passati così…Senza un nonno che mi ha lasciata ancora bambina e con una nonna che mi ha visto diventare donna.


Ma, in tutto questo, quando è successa la cucina? Perchè Lei succede.

E una mano calda che ti rapisce: cuore, pensieri, narici, stomaco, udito.
Credo fosse lì, dentro di me, nelle mie mani che sfogliavano vogliose giornali di cucina, negli strascichi di carta dove mia nonna appuntava le sue ricette (unica capace traduttrice di una scrittura tutta sua).
Era li mentre guardavo lei cucinare come un giudice severo, solo per poter dire che a causa di un microscopico ingrediente quella sera non avrei mangiato.

Ma, Lei, la cucina sapeva che al primo giro di boa mi avrebbe trovata rannicchiata nelle sue braccia. Era in quei pasti perennemente scoordinati, nella mia voglia immane di stendere sempre la pasta fresca.

Era, in quel giorno d’aprile, quando lei non c’era più ma c’era quel bisogno immenso del suo odore che dai vestiti scompariva, quella voglia tremenda di toccarla, stringerla e dirle tutto quello che in 21 anni non le avevo detto mai.

Ho capito che in qualche modo dovevo trovarla perchè andando via da questo mondo non è vero che non sei più.
L’ho cercata e l’ho trovata in quelle braccia calde che hanno fatto parte di tutta la sua vita e che ora lo sono della mia: la cucina.
Così che accade, perchè è un fatto: uno di quelli che cambia la vita.
Come quando trovi qualcosa di magico, mentre cresceva in me il bisogno di cucinare è accaduta anche un’altra cosa.
Ho capito che le radici, il sangue sono qualcosa che lega così forte chi resta con chi, invece, se na va.
Guardavo fuori dalla mia finestra, quella terra così sola, abbandonata lì dopo tutta quella vita, quei giochi, quelle risate, quel sole, quei pomodori. Mio nonno. Dietro quelle cataste di tempo andato via io ci vedevo ancora la vita, più precisamente la mia.
Magicamente tutto si ricongiungeva mia nonna, mio nonno, i miei bis-nonni che grazie a quella terra erano vissuti.

Allora ho smesso di stare alla finestra e sono uscita, piano piano mi sono avvicinata. Quando ho calzato gli stivali da giardino di mia madre sono tornati tutti.
Mio nonno e le sue foto tra i filari di pomodori, bello ed orgoglioso nonostante la malattia.
Mia nonna che, pur di dar da bere alla piante, cadde e il polso fece “crac” ma le piante non hanno mai sofferto la sete.

Ed era un via vai di vita ogni volta che il mio piede si poggiava sulla vanga e smuoveva la terra. Erano lì e ruotavano tutti intorno a me.
Quella nipote disappetente, gracilina adesso era e sono una donna che ha dato voce a cose assopite che, svogliata, non volevo ascoltare.
Questo, in parte, è il mio o, meglio, il nostro viaggio.
Perchè c’è un grande amore che tiene serrata la mia mano alla sua. Un grande uomo che ha preso me con tutta la cucina, con i miei nonni, la terra e a sera, i suoi pantaloni sono pieni di vita vera pronti per andare in lavatrice ed affrontare una nuova missione all’aria aperta.
Ha preso me e tutti quei libri di cucina che spuntano ovunque.

Questo è il nostro viaggio che, spero, prima o poi porti a realizzare un piccolo grande sogno nel cassetto.

Per adesso trasformiamo casa nostra in un piccolo angolo felice, mai soli: con occhi di nonni sulle nostre teste, otto zampe di stupendo e supremo amore pronti a combinare qualche guaio, le nostre ragazze (la galline le chiamiamo così) e le nostre signore (le api).